italian artist and sculptor JAGO
Jago è un artista – imprenditore italiano che lavora principalmente nella scultura e nella produzione video.

La mia personale scoperta di un artista eccezionale come Jago, è passata attraverso dei canali che raramente mi mettono in contatto con l’arte, ovvero i social network. Ma la cosa a posteriori non stupisce, perché questo giovane scultore nato nel 1987, già riconosciuto in tutto il mondo per la sua bravura, è anche un comunicatore formidabile. E’ tanto difficile non restare incantati dalla potenza dei suoi lavori, quanto è difficile non subire il fascino della passione dei suoi discorsi. Lucido e determinato, ha le idee chiare su quale sia il suo posto nel mondo e incita chi gli presta orecchio a trovare la stessa risolutezza, un passo per volta. Motivo per il quale, oltre ad essere seguito dai classici “addetti del settore”, Jago è accompagnato da una folta schiera di giovani follower, che ne apprezzano le idee e trovano in lui una scintilla di ispirazione e un esempio per le proprie carriere.

Con queste premesse ci siamo approcciati con grande curiosità all’artista che sta incantando mezzo mondo con le proprie sculture, incontrandolo in una piacevole intervista telefonica in un sabato mattina di novembre…

Jago ci risponde dal suo studio del quartiere Sanità di Napoli, città che ospita parte delle sue opere e che di recente ha ricevuto in dono dall’artista “lookdown”, una scultura che invita alla riflessione sulla condizione attuale dell’uomo, posta nella centralissima Piazza del Plebiscito a contatto col pubblico.

Jago
Michele De Nunzio

Iniziamo con qualche domanda di “riscaldamento”, per coloro che non ti conoscono ancora bene. Nel tuo percorso di formazione, tra le molte arti figurative, come è successo che tu abbia scelto (o sia stato scelto) proprio dalla scultura?

Perché sono un materialista. (ride)

Quindi di conseguenza ho necessità toccare le cose, girar loro attorno, vederle. C’è una carnalità in questi gesti, un aspetto fisico, corporeo, che riguarda la mia personalità, e se le mie predisposizioni si dovevano manifestare in un arte la scultura era quella più adatta. Poi ci sono anche altri modi in cui si manifesta una curiosità, ma la mia predisposizione si fissa sulla scultura.

Hai provato anche altre forme d’arte? Abbiamo visto anche tuoi ritratti e bozzetti in cui te la sei cavata piuttosto bene.

Sì, l’ho sempre fatto, tutta la mia vita in realtà ho disegnato e dipinto. Cose che so fare ma che ho utilizzato più come studio per arrivare poi alla scultura, il mio desiderio principale. Io sono scultore. Vivo il mio desiderio del “fare” in quella dimensione ed esserne consapevole mi dà molte possibilità.

Infatti sei conosciuto come l’artista del fare.

La regola è questa. Anzitutto fare è una parola magica. Questo mondo è fatto da chi fa. L’altra categoria è quella di chi si lamenta. Però la regola fondamentale di un percorso è questa: essere, fare, avere. Noi vogliamo subito avere risultati senza fare, oppure non “siamo” e iniziamo a fare le cose. 

Che significa essere consapevoli? Studiare, applicarsi e modificare se stessi. Poi agire, quindi mettersi sotto con abnegazione per realizzare qualsiasi cosa. Infine avere un risultato, che può essere ad esempio economico o di restituzione di un valore ad una comunità. Però c’è bisogno di affrontare questo percorso. Di solito si vive la frustrazione quando si mette da parte una di questi elementi fondanti e naturalmente non si riesce. 

Quindi Essere, fare, avere.

Hai parlato di abnegazione. E’ per molti una merce rara, in questo periodo. Secondo molti è riservata al genio, perché ci viene insegnata poca dedizione. Qual è la tua formula per l’abnegazione? Da dove riesci a ottenerla?

Da un’invincibile desiderio di libertà. Io devo essere libero, economicamente, a livello creativo, a livello sentimentale da attaccamenti. Devo essere libero in tutte le sfaccettature. E questo vuol dire fare un percorso al di fuori delle certezze, al di fuori di un sistema che ti impone un percorso obbligato. Perché in realtà lì non esiste nessuna certezza, la sicurezza sociale è la strada più incerta di tutte. Tu dipendi dagli altri illudendoti di essere sicuro, ma sei sensibile al fallimento di chi ti sta intorno. Questo mio pensiero significa anche fare una strada che non è per tutti e che viene vista come rischiosa. Ma io credo che, ad esempio, anche non avere una cultura finanziaria e affidarsi nelle mani di un professionista sia un rischio, quando si potrebbe invece prepararsi e comprendere quali siano le dinamiche degli investimenti.

Poi molto spesso quello che ci viene consigliato di fare arriva da persone che non sanno di cosa stanno parlando, anche nel contesto familiare. Da chi erediti quei consigli? Dai tuoi genitori, che magari non sono persone che hanno ottenuto quei risultati. Devi capire dove stai, quando stai e con chi stai. Scegliere le frequentazioni in base a quelle che sono le tue prospettive, essendo sempre tu quello che decide chi diventare.

Questo significa cambiare totalmente  l’algoritmo del proprio cervello e soprattutto essere disposti a buttarsi in un mondo in cui ci si crea le proprie regole, in cui tutto è possibile. Dobbiamo capire che viviamo in un epoca nuova, che è quella dell’informazione. Il posto fisso non esiste più, esiste oggi la creatività. Anche e soprattutto in ambito imprenditoriale.

Sembri una persona instancabile, sempre pronta a dare fondo alle ultime energie per ottenere il risultato. Arriva mai un momento in cui vince la stanchezza?

A me stanca l’apatia. E’ stancante per me stare mezz’ora di più a letto, il mio corpo si ribella subito con un mal di testa. Il mio corpo non può sopportare di stare lì senza fare nulla, perché non credo sia parte della nostra vita. Anche quando stiamo fermi in piedi i nostri muscoli lavorano per bilanciarci in ogni momento, per non parlare del continuo lavoro della testa. Hai controllo sul tuo cuore? No, pulsa. 

Viviamo in questa dimensione e io accetto il fatto che la mia realtà sia quella di uno che si deve muovere nel mondo. Nel fare le cose trovo il mio relax. La scultura è una materia complessa, anche fisica, però a me rilassa, mi fa stare bene mentalmente, mi aiuta e mi da piacere. E’ lo stesso per l’attività sessuale o il mangiare. Fai movimento e sprechi energie, ma provi piacere, sono cose che vivono sullo stesso piano.

E se tu dovessi riassumere te stesso in un obiettivo, quale sarebbe?

Io rinnovo sempre i miei obiettivi. Voglio sentirmi realizzato e raggiungere quel livello di me stesso che per fortuna non raggiungerò mai. Questo mi permette di andare avanti in una direzione di crescita.

Per qualcuno, inseguire per sempre un miglioramento potrebbe però risultare angosciante.

Io trovo angosciante il fatto di sapere quale sia il punto d’arrivo. Io so dove sto andando, ma mi rinnovo sempre, nei progetti, nei miei obbiettivi. Che fai una volta che li hai raggiunti? E’ come il discorso delle persone che vanno in pensione e si deprimono perché l’unica cosa che dava un senso alle giornate era il lavoro stesso. Io voglio non avere un obbiettivo, nonostante abbia una precisa progettualità e mi dia sempre dei nuovi traguardi, anche a breve termine. Come fare questa intervista questa mattina. Se lo porto a termine, sono andato avanti nella mia esperienza.

Tornando agli obiettivi, un’idea per me costante è quella di rimanere libero. Per fare, senza i condizionamenti di altri. Perché in questa libertà si innesca anche la libertà degli altri con cui vengo in contatto. Mi devo impegnare, ma la prima persona che devo cambiare è me stesso, non guardare al mondo esterno.

Come arrivi all’opera successiva? Da dove arriva la prossima ispirazione? Quali sono i passi tra una scultura e l’altra?

Dato che i tempi di realizzazione di un’opera sono molto lunghi, puoi immaginare quante cose mi vengono in mente durante la realizzazione e quante cose mi condizionano!

Quindi accumuli letteralmente ispirazioni!

Io non faccio piccoli oggettini o soprammobili, con l’obbligo di inventare sempre qualcosa di nuovo per la necessità di pubblicare una nuova idea o rinnovare un post su instagram. Io posso concentrarmi nel cercare di fare un capolavoro e in quegli otto mesi di lavorazione richiesti, conto sul fatto che mi venga una nuova buona idea per il prossimo lavoro! (ride)

Quindi in realtà io molto probabilmente vivrò questa vita avendo realizzato meno dell’un per cento delle cose che mi sarebbe piaciuto realizzare. Già volendo mettere in coda due progetti che ho in mente e che considero importanti, forse ci vorranno altri dieci anni di lavoro…

Questa cosa ti salverà sempre dal blocco dell’artista!

Trovo che blocco dell’artista sia auto-generato. Quella che viene chiamata l’ansia da foglio bianco è causata dal fatto che vedi in quel foglio il confine della tua creatività e non un mare di possibilità diverse. Soprattutto il fatto di doverlo riempire per forza con qualcosa ci paralizza. Ma l’idea verrà. Intanto inizia, fai un primo segno, quello può essere un suggerimento. 

Se noi rimaniamo nelle quattro mura di casa, saremo sempre spaventati da quello che c’è fuori. Puoi dire “non so dove andare”, va bene. Ma intanto apri la porta e metti il primo piede fuori. Poi ti guarderai intorno. Passiamo la vita bloccati dai “ma”, e l’azione la rimandiamo sempre.

Qual è secondo te la responsabilità degli artisti in genere, in questo periodo storico di comunicazione immediata e social media?

Premettendo che io non saprei veramente definire cosa voglia dire fare l’artista oggi, per quanto riguarda le responsabilità sicuramente dipende dalla singola persona, perché ogni nostra azione crea una responsabilità e se tu lo capisci puoi provare a fare le scelte giuste. 

Ti posso dire però questo: parlando di un contesto mediatico e in particolare riferito ai social, se hai una community di persone che ti accompagnano (e non ti seguono! Bisogna cambiarla questa cosa, non ci sono persone che ti seguono, ma che ti accompagnano perché riconoscono in quello che fai qualcosa che li riguarda profondamente), se hai queste persone che ti accompagnano comunque sei investito di un ruolo, perché crei un meccanismo. Se delle persone giovani ti ascoltano devi stare attento a quello che dici, perché li puoi condizionare se magari vedono in te un punto di riferimento. Lì sta una grandissima responsabilità. 

Ritengo che le parole abbiano la stessa forza degli strumenti che uso per scolpire.

Di fronte a te, quando usi le parole, hai del materiale che in questo caso è l’animo umano, e quel materiale può essere duro come il marmo ma nascondere una frattura interna che, usando male il tuo strumento, lo comprometterà per sempre. Puoi avere argilla malleabile, o del gesso umido, che richiedono i giusti tempi, oppure del bronzo, che è leggerissimo e resistente, ma ha bisogno dell’impegno di molti per essere plasmato. 

La responsabilità ce l’ha ognuno di noi ed è a livello di comunicazione. 

Posizionare un’opera in un luogo pubblico richiede grande responsabilità, perché ti devi render conto che stai dicendo una cosa e ti stai rivolgendo ad una comunità, cercando di non imporre un’interpretazione, ma lasciando libero il pensiero di chi osserva.

L’ultima responsabilità è più personale, nel mio caso come scultore, ma in generale come artista: tutti abbiamo una creatività, ma l’artista è quello che decide di scegliere, tra quel numero infinito di forme, immagini e linee presenti all’interno del blocco o del foglio, di farne emergere una sola, che è quella che condividerà con tutti.

Hai parlato di social e comunità multimediali. Tu riesci ad avere un approccio molto positivo con la tua immagine e con il tuo pubblico in un periodo che per molti versi sta mettendo a nudo anche le debolezze di una società continuamente connessa. Qual’è la formula per questo tuo successo mediatico?

Vivendo nell’era dell’informazione, noi viviamo nel periodo più incredibile della storia dell’umanità. Siamo noi a crearne i contenuti. Ci sono grandi opportunità e io sono sempre portato, per mia natura, a inseguire le possibilità.

Ci sono molti pericoli dietro alla rete però proprio per questa libertà di interpretarne i significati.

Non esiste periodo storico in cui l’innovazione non abbia portato con sé una rivoluzione degli usi e costumi, con i relativi pro e contro. Però questi ultimi sono generati dall’utilizzo che ognuno di noi ne fa. La tua libertà di scelta e di interpretazione fa la differenza in questo senso, dando un’impronta, positiva o negativa che sia, all’interazione con la rete.

Certo, questa capacità porta ad una serie di altri problemi. Coloro che cercheranno di utilizzare il sistema a loro vantaggio, anche in maniera sbagliata o illecita, ci saranno sempre. Ma chi guarda il problema a volte è talmente concentrato su quello che sembra non vedere altro. In realtà per fortuna c’è equilibrio nelle cose e io voglio rivolgere il mio sguardo più possibile alla parte positiva.

Forse sei un po’ sbilanciato verso l’ottimismo, ma credo sia un tuo aspetto positivo…

Beh, sono scelte anche quelle. (ride)

Io cerco di essere equanime. So che se non cado non posso neanche imparare. Ringrazio sempre gli errori e il fallimento perché sono alla base di qualsiasi apprendimento. Quindi è semplicemente una modalità. In definitiva poi sono i risultati che parlano e uno può tirare le somme in base a quale sia il proprio risultato finale.

Restando sullo stesso argomento, non trovi distraente il lavoro dei social, il doverlo seguire? Non si rischia un po’di cadere letteralmente nella rete e resterci impigliati, togliendo tempo al resto delle nostre attività?

C’è stato un periodo in cui inizialmente sei portato a dire “io voglio fare l’artista e solo quello”, ma la vita è diversa. A parte che ho scoperto che mi piace tantissimo occuparmi di comunicazione, di marketing e di imprenditoria, perché lì mi so posizionare all’interno di quello che faccio, ed è un percorso di studi con orizzonte temporale illimitato. Non finisci con una laurea. Devi stare sempre aggiornato sui cambiamenti del mondo, che sono giornalieri.

Io ho scoperto che tutto questo mi piace. Ho imparato che se sai fotografare il tuo lavoro, gli dai l’opportunità di essere visto in tutto il mondo, cambiandone molto le prospettive. Come racconti quello che fai a volte è più importante del lavoro stesso, perché se vuoi avere un certo grado di libertà sarai legato alla narrazione della tua stessa opera, al portfolio di contatti e tutto quello che hai costruito attorno a quel tuo unico desiderio, ovvero realizzare il lavoro che hai in mente.

Il social non mi distrae. Fa parte della mia quotidianità, della mia vita ed è anche lo strumento che ha portato a questa intervista, ad esempio!

E’ vero, senza magari non ci saremmo mai parlati.

Questo è il potente mezzo che abbiamo a disposizione. L’artista che oggi non lo capisce è un’artista destinato a doversi affidare ad altri, che lo utilizzeranno. Ma non esiste persona al mondo che si occupi del tuo lavoro meglio di te e ti troverai sempre nella condizione di dover dipendere.

Siamo alle soglie di un nuovo rinascimento in cui l’artista è un imprenditore che sa creare opportunità per sé e per chi gli sta attorno. Perché è all’altezza di poterlo fare, perché conosce magistralmente i mezzi che ha a disposizione e può smuovere e mutare dinamiche sociali.

Man mano poi cresci e hai la forza di fare gruppo, trasformando la tua opportunità nelle opportunità di quelli con cui entri in contatto. A quel punto la regola diventa questa: circondarsi di persone migliori di te in ambiti diversi, per imparare e crescere.

Questo nostro è un viaggio in cui la prima forma di investimento è quella umana, non può essere altrimenti, fatto di relazioni e rapporti. Se lavori con persone con le quai hai un rapporto fraterno e gli stessi obbiettivi, allora lì ci saranno sicuramente dei risultati molto importanti. Però si inizia con un passo per volta. Ogni tanto arriva un salto quantico, stimolato dal fare, però sono i piccoli passi che ci portano avanti.

Il nostro obiettivo non è sbagliare ma diventare bravissimi a sbagliare! Sbagliare molto bene! (ride)

E’ comprensibile perché molti giovani trovino ispirazione in quello che fai e in quello che comunichi loro. Anche la cooperazione e la crescita condivisa sono delle tematiche molto sentite nelle comunità di ragazzi che si affacciano nel mondo del lavoro in genere.

Ti lascio con due domande rapide, una più semplice e una forse più complessa.

Qual è la cosa che nelle interviste ti chiedono sempre, ma tu non vorresti mai avere come domanda?

Quella che mi hai appena fatto! (ride)

Non ci sono domande che mi infastidiscano, a dire il vero. Io vorrei stupirmi nel dire cose nuove anche quando ho ricevuto la stessa domanda per mille volte. E’ un esercizio per leggersi meglio, per arricchire i discorsi, però devi essere spontaneo e non prepararti, per questo non voglio sapere cosa mi verrà chiesto prima delle interviste. Poi ricevere una domanda è l’opportunità per farsi una domanda e ringrazio chi me le pone perché senza di queste forse avrei rimandato un momento di riflessione.

Infine ti chiedo di dirmi una cosa che non ti chiede mai nessuno, ma che vorresti tanto avere la possibilità di raccontare o esprimere. Questa è più difficile…

Non saprei. Solitamente quando sento il desiderio di esprimere qualcosa trovo il canale per comunicarla, quindi non ho l’esigenza di avere una domanda diretta per esternarla. Sempre tenendo conto del fatto che ad ogni azione corrisponde una reazione e quindi cercando di far funzionare un meccanismo di coscienza e responsabilità. 

Grazie della domanda perché ho detto una cosa che non ho mai espresso e improvvisando la risposta ho realizzato una cosa che non conoscevo di me!

Ringraziamo il nostro il nostro ospite Jago per le graditissime risposte in attesa di poterlo vedere nelle prossime esposizioni dei suoi lavori in tutto il mondo.


Scopri l’arte di Jago sulla sua pagina ufficiale e su Instagram https://jago.art/it/opere @Jago.Artist

Intervista di Andrea Leghissa